Quanta uva serve per fare una bottiglia di vino? - Focus.it

2023-03-23 15:23:00 By : Mr. Gang Qian

Una bottiglia di vino da 0,75 litri (la dimensione più diffusa) richiede in media 1,2 kg d'uva. Sul perché poi si utilizzi proprio questa misura di bottiglia esistono varie teorie. La prima è fisica: sembra che tutto dipendesse dalla forza polmonare degli antichi soffiatori di vetro, che in media, con un unico fiato, riuscivano a creare bottiglie di tale capacità.

Nella cassa. La seconda deriva dal commercio: infatti gli inglesi, che ancora oggi misurano il volume in galloni, riguardo a questioni di tasse portuali e costi di trasporto consideravano che una cassa di vino poteva contenere al massimo 2 galloni, e ciascuna cassa poteva ospitare 12 bottiglie. 1 gallone equivale a 4,5 litri, 2 galloni 9 litri, divisi in 12 bottiglie 0,75 litri ciascuna.

Secondo un'altra teoria, invece, questa particolare unità di misura viene utilizzata perché una bottiglia da 0,75 contiene esattamente 6 bicchieri da 125 ml utilizzati nelle osterie. In questo modo gli osti potevano calcolare più facilmente quante bottiglie sarebbero servite ai clienti in base al loro numero. La scelta del vetro risale al XVIII secolo, quando si iniziò a capire l'importanza per il gusto di conservare il vino in questo materiale.

Questa news, realizzata a cura di FICO, il Parco del Gusto di Bologna, è tratta dal numero 347 di Focus in edicola dal 14 agosto.

Un fuoco, carne arrosto e mani sporche: ecco un uomo primitivo. Sdraiati sui triclini, presi dalla conversazione e dal cibo abbondante: ecco i Romani, che dei pasti in comune apprezzavano soprattutto il lato godereccio e conviviale. Seduti a tavola, circondati da ogni ben di Dio, impataccando tutto con sughi d'arrosto e salse: ecco i medioevali, che il banchetto lo usavano per stringere alleanze e mostrare la loro superiorità sociale. Tutti i popoli, in ogni epoca, hanno festeggiato a tavola... E noi?

La Mesopotamia e la nascita della birra. Da sempre i banchetti sono stati momenti importanti. Prendete i Sumeri, nel III millennio a.C. Per loro condividere lo stesso cibo, l’acqua per lavarsi le mani e l’olio per ungersi significava essere giunti a un accordo. Tanto che per dare validità a un contratto si utilizzava spesso la formula “abbiamo mangiato il pane, abbiamo bevuto la birra e ci siamo unti di olio”. Alla fine del II millennio a. C., in Assiria, un matrimonio era valido quando la famiglia della sposa e quella dello sposo si sedevano insieme a tavola, dividendosi le stesse portate. A proposito di birra. Sono stati proprio i Sumeri a inventare la birra. Intorno al 3000 a. C. avevano già scoperto che dagli ingredienti del pane (acqua, cereali e lievito) si otteneva una bevanda dissetante e leggermente inebriante. Dalla Mesopotamia la birra passò poi in Egitto, dove si chiamava zythum.

L'antico Egitto e la civiltà del pane. Avere un buon appetito era sinonimo di buona salute già nell'antico Egitto. Gli Egizi banchettavano accucciati su stuoie, con un basso tavolino davanti. E si servivano usando solo le mani. A corte vi era la figura del dep-irp, cioè il “gusta vino”. In pratica, il nostro sommelier. La dieta di base della gente comune era molto semplice. Pane (ce n'erano almeno 40 tipi diversi) e birra erano il cibo e la bevanda più in voga, che costituivano anche la “paga” con cui i faraoni compensavano gli operai, dato che il denaro non era in uso.

L'antica Grecia e la civiltà del mangiare. Anche i Greci davano al pasto condiviso lo stesso valore di unione e fratellanza: i fieri uomini spartani mangiavano tutti alla stessa mensa e lo scrittore greco Plutarco ci teneva a precisare che, a differenza dei barbari, “noi non ci mettiamo a tavola per mangiare, ma per mangiare insieme"

Roma e le abbuffate. Cicerone (I secolo a. C.) sosteneva che “il piacere del banchetto non si deve misurare dalla squisitezza delle vivande, bensì dalla compagnia degli amici e dal loro dissertare”. Eppure per organizzare i convivia (dal latino cum vivere, “stare insieme”) gli aristocratici dell’antica Roma erano capaci di spendere cifre da capogiro, costretti poi a gettare i troppi avanzi nel Tevere. Per loro queste enormi abbuffate erano uno status symbol, ma stridevano con la frugalità quotidiana dei Romani e del filosofo Seneca, orgoglioso di farsi bastare per pranzo fichi secchi e un po’ di pane. Nella foto, intrattenimento musicale durante il pasto in un mosaico romano del I-II secolo d. C.

Il medioevo e la tovaglia. Il pasto consumato insieme sottolineava una specie di tacito accordo tra le parti. Lo sapevano bene i re carolingi, che vietarono ai funzionari regi di accettare inviti e regali da chi era oggetto della loro attività amministrativa. Nel medioevo compare la tovaglia. Quando c’erano ospiti, il padrone di casa allungava la tavola con un tavolaccio posto su cavalletti. Questa tavola mobile, siccome era di legno comune e non aveva valore, si copriva con una tovaglia di lino o canapa, lunga fino a terra.

Il rinascimento e la guerra per il posto migliore. Per tutto il Rinascimento, il banchetto assunse una sfumatura diversa e divenne il mezzo per le classi più agiate di manifestare il loro potere. Gli invitati facevano di tutto per partecipare a questi estenuanti riti: non ultimo combattere frequenti “guerre delle sedie”. Sottoposti a una rigida gerarchia conviviale, dovevano infatti occupare il posto assegnato loro in base al proprio rango. Chi si riteneva troppo lontano dal re o dal padrone di casa poteva uscire offeso di scena o vendicare il torto subìto a colpi di spada.

Il '500 e la nascita del galateo. Fin dopo il Rinascimento buone maniere come le intendiamo oggi erano scontate: tutti, nobili o meno, mangiavano con le mani, aiutandosi al più con coltello o cucchiaio. A coppie, in base al rango, i convitati ricevevano su un tagliere la loro porzione, che poi dividevano sul “pane da mensa”, una fetta di pane duro usata come piatto. Monsignor Giovanni della Casa, a metà del ’500, condannò nel suo Galateo coloro che riducevano i tovaglioli in condizioni tali “che le pezze degli agiamenti (le latrine, ndr) son più nette”. Qualche decennio prima, anche Leonardo da Vinci segnalò alcuni tra i peggiori comportamenti tenuti a tavola dai suoi contemporanei “Nessun ospite dovrebbe mettere spiacevoli bocconi mezzo masticati nel piatto del vicino, nascondere il cibo in borsa o negli stivali e mangiarselo poi”. Né “sputare davanti a sé, leccare il vicino. E se deve vomitare che lasci la tavola”.

Dal '600 all'800 si affermano le buone maniere. Le cose andarono poi migliorando: tra ’600 e ’700 si affermarono le “buone maniere” così come le conosciamo oggi, nuovo segno di distinzione sociale. Nell’Ottocento si impose infine il cosiddetto “servizio alla russa” (i piatti venivano serviti uno alla volta, in sequenza). Venne soppiantato così il servizio “alla francese”, con tutti i piatti in tavola contemporaneamente.

Il '900 e l'aperitivo. Ormai lanciati verso la modernità, ai buongustai non restava che scoprire il rito dell’aperitivo: arrivò di lì a un secolo, piacevole seppure del tutto superfluo dal punto di vista nutritivo.

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Come sta la Terra? E che cosa può fare l'uomo per salvarla da se stesso? Le risposte nel dossier di Focus dedicato a chi vuol conoscere lo stato di salute del Pianeta e puntare a un progresso sostenibile. E ancora: come si forma ogni cosa? Quasi tutti gli atomi che compongono ciò che conosciamo si sono generati in astri oggi scomparsi; a cosa servono gli scherzi? A ribadire (o ribaltare) i rapporti di potere; se non ci fosse il dolore? Mancherebbe un segnale fondamentale che ci difende e induce solidarietà.

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